Sono una delle tante chiese dimenticate di Viterbo. Non capita spesso di vedere visitatori, in questo estremo margine del centro storico. Così approfitto della vostra visita: vi prego, fermatevi un po’ ed ascoltate.

Dall’alto di questo sperone roccioso, da quasi mille anni custodisco e sorveglio la valle di Faul, e mi confronto con quel gioiello del Palazzo Papale. È vero, non sono bellissima quanto lui. Ho una facciata grigia, anonima, e i lunghi secoli e le vicissitudini hanno lasciato tracce sulle mie mura. Molti di voi non sanno neppure che esisto. A meno che non siate venuti a cena da me, quando qualcuno ebbe la bizzarra idea di aprire una pizzeria tra i miei altari.

Eppure il mio destino ha conosciuto ben altra gloria. Alla metà del Duecento, quando il prepotente Federico II di Svevia aveva posto d’assedio Viterbo, da grande stratega qual era capì che la mia era una posizione privilegiata. Sorgevo infatti sulla strada che ancora oggi da valle Faul si inerpica fino alla Trinità. Così pensò di costruirmi vicino due piazzole di tiro, che avrebbero ospitato catapulte in grado di colpire le abitazioni. Catapulte… vi rendete conto quanto sono vecchia? 

Ah, scusate, non mi sono ancora presentata: sono la chiesa di San Giovanni Decollato, ma a Viterbo sono nota soprattutto come Lazzaretto. Lo so, non è il migliore dei nomi, soprattutto di questi tempi. Mi chiamarono così cinquecento anni fa, quando una letale epidemia di peste colpì la nostra città. Per accogliere le centinaia di malati che dovevano essere tenuti separati dai sani, venni requisita e divenni una sorta di ospedale per moribondi.

A quei tempi ero gestita dai frati francescani, che dovettero far posto ai tanti miseri ammalati. Ma quando l’epidemia si esaurì, i frati vennero proprio scacciati. Pare che non si fossero sempre comportati come il Santo Poverello di Assisi aveva prescritto!

Ma il mio destino era ineluttabile, come quel nome con cui ormai ero conosciuta. Nell’Ottocento sopraggiunse un’altra epidemia, questa volta di colera. Ancora una volta accolsi innumerevoli poveretti destinati a morte certa. Non esistevano ancora medicinali ed antibiotici come ce ne sono ora. Come dite? Volete sapere perché erano così frequenti le epidemie nei secoli scorsi? Beh, in passato i viterbesi non vi somigliavano affatto per quanto riguarda le abitudini igieniche! E poi si viveva a stretto contatto con gli animali, e le strade erano estremamente sporche. Terreno fertile per ogni batterio che si trovava a passare da queste parti.

Dalla fine dell’ultima epidemia, i decenni sono trascorsi nell’anonimato. Fui adibita a magazzino, a sede della banda musicale, a garage per i mezzi della nettezza urbana. Infine a pizzeria: questo mi diede un po’ di notorietà. Non sono molte le pizzerie realizzate nelle ex chiese, no? Anche se lì per lì la cosa mi parve un tantino blasfema. Ma anche la pizzeria ha chiuso, cinque anni fa. E sono rimasta da sola. Quanto avevo di prezioso venne messo in salvo e portato nella chiesa di San Faustino: calici, paramenti, dipinti, sculture. I miei altari sono rimasti spogli.

A volte mi domando perché, dopo tanti secoli, il mio ricordo si sia così sbiadito. Mi domando cosa ancora rimango a fare, in questo mondo. E mi piacerebbe tornare a vedere un po’ di gente. Ospitare, che so? Un bel centro culturale. Sarebbe veramente bellissimo. Sapete, se c’è una cosa che ho imparato, durante i miei lunghi secoli di vita, è che la cultura è importantissima. Al pari del pane, e della salute.

Ma questo bisognerebbe farlo capire a chi comanda.

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.