A Viterbo le fontane sono una delle principali attrazioni turistiche. In particolare le fontane dette “a fuso”, così chiamate perché la forma richiama il fuso, lo strumento utilizzato anticamente per filare la lana: quella di Pianoscarano, quella di piazza Dante, la fontana a fuso della Crocetta.

In epoca medioevale, ogni piazza di Viterbo aveva una fontana. Man mano che ci si avvicinava dalle periferie al centro, si passava dalla praticità rustica degli abbeveratoi e dei lavatoi alle fontane più elaborate ed eleganti: vasche decorate applicate ai muri, fontane monumentali a coppe sovrapposte, oppure quelle a fuso.

Nel corso della storia, chiunque abbia avuto modo di visitare Viterbo o di soggiornarvi ha esaltato la presenza delle fontane e delle acque, che provenivano abbondanti dalla zona dei Monti Cimini. Nel Duecento erano l’orgoglio del Comune di Viterbo: a quell’epoca già esisteva un ingegnoso sistema di canalizzazione, che catturava le acque dalle piccole – ma numerose – sorgenti cimine e le portava in ogni quartiere. E stiamo parlando di un’epoca in cui la presenza dell’acqua vicino casa non era per nulla scontata. Il sistema di canalizzazione scorreva a livello del suolo: si poteva dunque sollevare le pietre che coprivano i condotti ed attingere direttamente l’acqua. Ma il luogo preferito di approvvigionamento restavano le fontane, che erano anche luogo di socializzazione e di incontro.

Strade e fontane curate erano il simbolo di un’organizzazione comunale solida ed efficiente. Esistevano infatti degli appositi magistrati che vigilavano sul decoro urbano e in particolar modo, sulla manutenzione e sul restauro di strade e di fontane.

Le fontane hanno perduto da tempo il loro ruolo storico e pratico: non c’è più bisogno di recarsi a prendere l’acqua, che arriva direttamente nelle case. Le nostre belle fontane sono diventate monumenti e incuriosiscono e sorprendono i turisti che vengono a visitare Viterbo. Purtroppo, nel corso del tempo, non si è pensato a tutelare degnamente queste testimoni storiche e artistiche dei secoli trascorsi. E può capitare di imbattersi in scorci come quello immortalato dal fotografo Ezio Cardinali.

Si tratta di quello che resta della fontana di porta San Pietro, situata alla sinistra del Palazzo dell’Abbazia. Il suo vero nome è Fontana Piccolomini, dal nome del Cardinale Francesco Piccolomini che nel 1463 fece restaurare il palazzo. Dalla fine dell’Ottocento non fornisce più acqua ed è stata privata della vasca rettangolare che la completava. Oggi rimane un’edicola sovrastante, che sicuramente racchiudeva un’immagine sacra. La parte inferiore presenta ancora dei bassorilievi di foglie d’acanto, rose e palmette, e lo stemma del cardinal Piccolomini.

L’incuranza dei secoli l’ha mutilata, sfregiata, dimenticata in quest’angolo cittadino, seppure in bella vista per chi entra a piedi da porta San Pietro. Le stimmate della modernità l’hanno ulteriormente ferita: cartelli stradali, cavi, scatole elettriche… E un cartello turistico – anch’esso sfregiato –tragicamente paradossale, indica ai turisti i percorsi di visita alla città.

È normale che un’antica fontana del Quattrocento sia ridotta in questo modo? È normale abituarsi alla vista di questo degrado? Ma soprattutto, è normale che una città che aspira a diventare sempre più turistica, tolleri lo stato in cui versano le sue gemme più preziose?

Le foto di questo articolo sono di Ezio Cardinali

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.