Con le braghe sul capo e il saio legato attorno al collo: ecco fra’ Ginepro e la sua “Santa Pazzia”. Amico fraterno e pazzerello del “Giullare di Dio” San Francesco il poverello d’Assisi.

Il melodioso gorgheggio dell’usignolo allietava quel dì la placida vita di frate Ginepro. Immerso nei suoi pensieri sedette su una grossa pietra sporgente piena di muschio e d’edera. Quel giorno la grande calma della natura aveva fatto un tutt’uno con l’anima sua. In quella calma ricordava con gioia profonda gli insegnamenti di fratello Francesco: sorella acqua, fratello fuoco e ogni animale dell’universo.

Come ogni bella medaglia ha un dritto e un rovescio, anche la vita sua, fatta di gioie e letizie, nascondeva un grande periglio. Il demonio, che per sua natura ha in odio la serenità degli uomini, aveva ordito nei confronti suoi una trama alquanto losca.

Assediava in quegli anni la città di Viterbo un torvo tiranno, Nicolao, e il diavolo in persona sussurrò al suo orecchio queste parole: “Signore, guardate bene questo vostro castello, verrà qui un grande traditore mandato dai viterbesi acciò che vi uccida e metta a fuoco le robe vostre”.

Il tiranno Nicolao volle allora conoscere chi gli avrebbe causato tanta rovina. Il demonio allora gli disse che egli si sarebbe palesato sotto le spoglie di un povero con le vesti stracciate. Fuori dalle mura del castello intanto un gruppo di scapestrati iniziò a strattonare un povero frate, lo tiravano a destra e manca e brandelli di tela rozza rimasero sulle loro mani.

Giunto così malconcio presso il tiranno suscitò in lui grande odio riconoscendo i segnali in costui, secondo le istruzioni del demonio, comandò di mettergli il capestro alla gola. Quando gli fu chiesto chi egli fosse, con la semplicità dei suoi modi disse “Io sono un grandissimo peccatore”. Dopo che gli ebbero domandato se egli volesse tradire quel dì il tiranno e dare il castello ai viterbesi affermò: “Io sono massimo traditore e indegno di ogni bene”. La collera salì a imporporare le gote del tiranno, le vene del collo si ingrossarono a dismisura, tutti credettero allora che da lì a poco sarebbe esploso. Fu ordinato di attaccare il povero frate con una corda ad un cavallo e di trascinarlo fino ai piedi della forca e lì appeso come conveniva ai traditori. La tribolazione si sa avvicina gli animi nobili a Dio e fra’ Ginepro era una delle più belle anime che circolavano in quei luoghi. Tutto il popolo corse a vedere l’uccisione di un così mansueto agnello.

Un viandante vista la crudele scena corse dai frati Minori e con tutto il fiato che aveva in corpo disse: “Venite che un poverello sta per rendere l’anima a Dio senza il conforto di un confessore” Il guardiano che era un uomo buono e pietoso corse subito sul luogo dell’impiccagione. Giunto lì vide fratello Ginepro con la tonaca a brandelli e con uno slancio di amore fraterno iniziò a cavarsi la sua per rivestire le sue nudità. Il frate con il sorriso sulle labbra disse.” O guardiano, tu sei grosso e parrebbe troppo male la tua ignudità, copriti per l’amore di Dio!”. Il pingue guardiano, dopo essere stato così ripreso dal malcapitato, raccolto tutto il coraggio che aveva si diresse presso il tiranno e con voce ferma gli disse: “Signore mio, oggi uno tra i più santi frati dell’ordine di Santo Francesco, il poverello d’Assisi, è stato da voi mal giudicato”. Il tiranno Nicolao udite che ebbe queste parole si precipitò a liberare il sant’uomo e gettatosi ai suoi piedi chiese perdono.

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Da una nota dello storico Giuseppe Signorelli in “Viterbo nella storia della Chiesa” libro II pagg. 192-193 si evince che i frati Minori scelsero come loro dimora gli ospedali dove si curavano i lebbrosi: come L’Hospedale Fr. Soldenerii in contrada Santo Giovanni in Coculle. Oltre a frate Soldanerio vissero a Viterbo, certamente dopo il 1208, anno in cui si pensa che San Francesco sia passato per questi luoghi, frate Morico, frate Leone, e frate Ginepro, un sant’uomo dai modi quasi puerili.

Ginepro nacque a Bevagna nel 1190 circa e morì a Roma nel 1258. Si narra che un giorno entrò nella città con le braghe in testa e le terga al vento e arrivò così denudato fino alla piazza principale. Alcuni giovani del luogo, avvezzi a far baldoria, dalle grida passarono ai sassi, ma il frate con solerzia corse verso il convento e vi entrò ignudo tra l’incredulità dei suoi confratelli. Un altro episodio, come riportato dalla figura sotto al post, lo vide protagonista di una cosa molto bizzarra e anche molto crudele, si dice che abbia con un coltellaccio tagliato lo zampone ad un povero maiale per farne dono ad un confratello malato.

Scriattoli scrisse di lui “Dette fra Ginepro qualche prova della sua santità strana e bizzarra”. La storia è fatta anche di piccoli grandi uomini che con l’esempio e la parola, in questo caso con la bizzarria, conducono gli animi, anche i più riottosi, ad apprezzare il bello della vita anche nelle avversità. Una “Santa pazzia” rende tutto più sopportabile.

Anonimo

Scritto da:

Nadia Proietti

Salve, il mio professore di storia ripeteva sempre che lo storico studia i documenti, senza interpretare
e senza romanzare, ecco come mi comporto io: prendo i fatti storici, spesso dai documenti, aggiungo
dei personaggi, una storia verosimile e voilà ecco come nasce ogni mio racconto.
Chi sono? Mi chiamo Nadia sono laureata con lode in Filologia Moderna, ho all'attivo un Master in materie letterarie, un Corso di Alta Formazione in Storytelling, docente di lettere precario. Oltre ai titoli sono madre di due figli, appassionata di storia moderna in particolare in storia dell'Europa
dell'Est, pessima casalinga, ma buona padrona di casa.