Era una torrida giornata di agosto, di quelle in cui si suda solo a respirare.
Quella mattina Luca e Francesca avevano deciso di andare a fare una passeggiata alla Faggeta, per prendere un po’ d’aria fresca e godersi la bellezza della natura incontaminata, ma soprattutto perché avevano bisogno di staccare un po’ dalle interminabili ore di studio a cui li sottoponeva la sessione estiva all’università.
Avevano passeggiato, parlato e riso fino alle lacrime quando Luca era inciampato su una roccia cadendo come un idiota, avevano abbracciato gli alberi, si erano sdraiati sul prato e si erano tirati le foglie cadute a terra in una guerra da cui solo l’amore usciva vincitore.

Il giorno seguente Luca morì in un incidente d’auto.

Due mesi dopo, dopo che il dolore le aveva consumato il sorriso e lo stomaco, Francesca decise di andare a fare due passi nel bosco, nella speranza di godere degli ultimi raggi di sole prima del gelo invernale. Camminava lentamente e respirava profondamente, sentiva le foglie rompersi sotto la suola delle sue scarpe; dopo aver vagato troppo a lungo nella sua mente, si mise seduta su una roccia, su quella stessa roccia protagonista di uno dei suoi ricordi più felici. A quel pensiero le lacrime iniziarono a solcarle il viso, ma anche i lati della sua bocca si contrassero impercettibilmente in un accenno di felicità; sentì un alito di vento accarezzarle la guancia, il sole scaldarle tiepidamente le palpebre socchiuse. Un’upupa si posò sulla sua borsa abbandonata nel prato e volò via pochi secondi dopo.
Francesca si alzò e appoggiò la mano stanca all’albero secolare lì vicino; poi d’istinto lo abbracciò, come se quello fosse l’abbraccio di chi non poteva più darglielo, e iniziò a piangere con la fronte appoggiata al tronco, chiedendosi perché Dio le avesse fatto conoscere l’amore per toglierglielo poco dopo, come fosse possibile che quello stupido albero stesse lì da più di cent’anni e il suo Luca non potesse più vedere la luce del sole dopo solo ventitre anni di vita. Mentre la sua anima sprofondava negli abissi più cupi, una foglia le arrivò sui capelli sterzando, come se qualcuno gliela avesse tirata.
Francesca si guardò intorno ma non vide nessuno; si tolse la foglia dalla testa e mentre la guardava gliene arrivò un’altra sulla spalla. Avrebbe dovuto essere spaventata ma si sentiva stranamente tranquilla.
Fu allora che tornò nei pressi della roccia con le due foglie in mano, se le portò alla bocca e, posandole a terra, sussurrò: “A presto, amore mio”; poi prese la borsa e si avviò a passi lenti verso casa, fragile come una foglia in autunno ma forte come un albero secolare.

La foto è tratta dal sito www.paesionline.it

Anonimo

Scritto da:

Carolina Trenta

Un po' romantica un po' nerd, appassionata lettrice e cultrice di storie, raramente a mio agio nella folla; amo il mare fuori stagione, il legno del violino, l'aroma del cappuccino, le matite che scorrono sulla carta, i cuscinetti sotto le zampe dei gatti. Quando tanti pensieri si accavallano nella mia mente li metto nero su bianco e ogni tanto ne esce fuori qualcosa di buono, ma senza troppe pretese.
Mi sono laureata in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi della Tuscia e per il mio futuro spero di lavorare in una di quelle biblioteche giganti che si vedono nei film :)