Tutti i viterbesi ci sono stati almeno una volta: per passeggiare, per guardare le paperelle, per trovare un angolo di pace lontano dallo stress della vita cittadina.
Ma ci siamo mai chiesti quale sia la storia di questo parco tanto amato in cui il verde spicca a contrasto con il grigio medievale delle mura?
Oggi posiamo la nostra penna e lasciamo che sia lui a raccontarcela…

foto di p.annamaria (Instagram)

“Mi chiamo Giardino e sono nato nel XIV secolo; all’inizio ero solo un terreno con un prato e appartenevo alla Dogana del Patrimonio, mèta dei castellani papali e luogo di riunione per le esercitazioni militari dopo che il cardinale Egidio Albornoz fece costruire la Rocca; mi ricordo di lui, era un pezzo grosso… mi piaceva vederlo passeggiare qui nei dintorni… quanto tempo è passato… oh, scusatemi, a volte tendo a crogiolarmi nei miei ricordi!
Continuo subito a raccontarvi la mia storia.

Nel corso dei secoli appartenni a diverse famiglie nobili della città di Viterbo: Monaldeschi, Gatti e Baglioni sono solo alcune. Dal 1571 al 1612 vidi morire molti uomini, ero stato scelto infatti come il luogo destinato alle esecuzioni pubbliche: così facendo ero diventato anche io un condannato, testimone impotente e silenzioso della scelleratezza umana.

Nel XIX secolo sentivo spesso sotto di me uomini che correvano, ma non capivo perché lo facessero in assoluto silenzio; solo dopo realizzai che sfruttavano i miei cunicoli sotterranei per mettere la Rocca in comunicazione con l’esterno e per le sortite in tempo di guerra.
Ah la Rocca, la Rocca… che delizioso profilo! Nonostante siano passati tutti questi anni, a volte ancora mi perdo a guardarla… non ho mai visto il suo volto, ma immagino sia un incanto… Ops, scusate, l’ho fatto di nuovo!

C’è stato un tempo in cui il mio prato era continuamente calpestato dalle mandrie, venivano stimate e divise al loro ingresso in città; inoltre, c’ era un continuo viavai di militari, organizzavano le manovre e facevano le esercitazioni”.

A questo punto Giardino si fermò. Non riusciva più a parlare, sembrava essersi perso di nuovo. Ma stavolta vidi che c’era qualcosa che non andava, stava piangendo. Fece un gran sospiro e riprese il suo racconto.

“Nel corso del Novecento gli uomini si sparavano e si uccidevano; nel 1944 la città in cui vivo venne bombardata e a volte ancora mi pare di sentire l’eco di quei fragori assordanti. Ma è l’11 giugno 1965 il giorno che non riuscirò mai a dimenticare: all’improvviso ho sentito un dolore atroce e il mio corpo ha preso a tremare in maniera irrefrenabile. Non riuscivo più a controllarmi, sembrava non finire mai… dopo un po’ di tempo ho capito che quel “mostro” non aveva colpito solo me; molti viterbesi si accamparono nel mio prato per giorni, non facevano altro che ripetere una parola: terremoto.
Ho i brividi solo a pronunciarla.

A quel tempo ero già diventato il parco della città di Viterbo, il posto che voi tutti oggi conoscete. Il Comune decise di donarmi alla comunità il 9 Gennaio 1843 (aggiungendo al mio nome originale “Prato”) e da quel giorno ho trascorso ore felici, piacevoli… ci sono tanti bambini, laghetti, piante di ogni genere.

foto tratta dalla pagina Facebook “Viterbo, memorie e cartoline”

Quando organizzano le mostre (soprattutto quelle canine!) sono felicissimo, c’è quell’aria di festa che mi fa sentire così vivo e amato! Sono bello, fidatevi, anche se a volte vorrei mi tenessero un po’ più pulito…
Adesso vi lascio, ho bisogno di riposare… ho molti anni e parlare così a lungo mi stanca. Spero che la mia storia non vi abbia annoiato, però vi voglio chiedere un’ultima cosa: venite a trovarmi, trascorrete anche solo qualche minuto insieme a me: non immaginate che piacere fate a questo povero vecchio che di morire non ne vuole proprio sapere!”

foto di federico.botarelli.ph (Instagram)

La foto iniziale è tratta dal sito www.visit.viterbo.it

Anonimo

Scritto da:

Carolina Trenta

Un po' romantica un po' nerd, appassionata lettrice e cultrice di storie, raramente a mio agio nella folla; amo il mare fuori stagione, il legno del violino, l'aroma del cappuccino, le matite che scorrono sulla carta, i cuscinetti sotto le zampe dei gatti. Quando tanti pensieri si accavallano nella mia mente li metto nero su bianco e ogni tanto ne esce fuori qualcosa di buono, ma senza troppe pretese.
Mi sono laureata in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi della Tuscia e per il mio futuro spero di lavorare in una di quelle biblioteche giganti che si vedono nei film :)