“Ho paura.

La nebbia aleggia nell’aria fredda del primo mattino. La città dorme ancora sotto le prime coperte autunnali. Il vicolo lastricato di antiche pietre è deserto. La fontana, in lontananza, sembra una lancia aguzza puntata verso il cielo lattiginoso.

Ho freddo. Mi rannicchio nel cantuccio che mi cela alla vista, cercando un po’ di tepore. Sono solo. Sento, invisibile, lo sguardo famelico del mio inseguitore, che fruga negli angoli bui alla ricerca della mia presenza. Vuole uccidermi.

Cerco di ritrovare il ritmo del respiro, e la calma per pensare. Dovrei fuggire da qui, al più presto. Ma non ce la faccio: sento troppo dolore. Riesco soltanto a trascinarmi, a fatica. Devo trovare presto un riparo più sicuro.

Mi guardo intorno e intravedo un’apertura, a livello della strada. È la finestra di un seminterrato, lasciata socchiusa. Se riesco ad intrufolarmi là dentro, sarò salvo.

Do un ultimo sguardo furtivo intorno: tutto tranquillo. Forse il mio inseguitore ha desistito. Decido di rischiarmela. Comincio a strisciare, per quello che mi consente il mio corpo ferito. Centimetro dopo centimetro, mi avvicino all’apertura, infilo la testa e mi spingo all’interno.

Cado di peso su un tavolo pieno di attrezzi di metallo: l’urto è forte, vedo tutto nero.

Mi riprendo dolorante, e ripenso subito al pericolo imminente: devo nascondermi meglio. Mi sporgo dal bordo del piano di legno: in basso c’è un grande cassetto semiaperto. Un ultimo sforzo e mi infilo dentro, tra matasse metalliche e vecchi bulloni. Respiro gli strani odori, e il battito del cuore finalmente rallenta.

Vorrei assopirmi, e dimenticare la paura. Vorrei sentirmi finalmente al sicuro, ma con un balzo, il mio inseguitore penetra nel seminterrato e atterra agilmente sul tavolo. Ha visto da lontano le mie manovre e si sta divertendo un mondo. Sta giocando con me.

I suoi occhi sono come fari malevoli che scrutano il buio della stanza. Nell’angolo più profondo del cassetto, io smetto di respirare. Ma so che mi troverà. È tutto inutile: non ho scampo.

Rivedo come un flash gli ultimi avvenimenti: era ancora buio quando gironzolando nel vicolo avevo trovato in un angolo un sacchetto vuoto di patatine lasciato in terra da qualche bambino. Avevo fame, e le briciole rimaste all’interno erano state per me una tentazione irresistibile. Mentre le mangiavo con voluttà mi ero distratto, e non avevo sentito il mio nemico avvicinarsi.

Quando mi sono accorto di lui, era troppo tardi: con una zampata violenta mi ha mandato a sbattere contro il muro. Ho tentato di fuggire, ma lui lo ha fatto di nuovo. Ho sentito un dolore terribile alle zampe, non riuscivo più a muoverle. Il nemico si era accovacciato scodinzolando beato davanti a me, ad osservare la mia agonia. Un mostro crudele. Poi, all’improvviso, si era annoiato e rapido se ne era andato, lasciandomi tramortito in un angolo.

Ma adesso eccolo di nuovo, più feroce che mai: mi ha seguito fino al mio nascondiglio e stavolta regolerà i suoi conti.

Il mostro annusa l’aria e punta nella mia direzione. Io mi faccio piccolo piccolo.

Ma all’improvviso ci blocchiamo entrambi: io nel fondo del cassetto, lui immobile al centro della stanza. Abbiamo sentito un rumore: per me speranza, per lui allarme. Sulla porta in fondo appare un cane enorme, nero: il padrone di casa.

Il mastino guarda il gatto e con un abbaio poderoso si lancia addosso al mio inseguitore, che ha perso tutta la sua arroganza. Il gattaccio riesce a scappare per un pelo, lanciandosi rapido nell’apertura della finestra, e sparisce nelle nebbie del vicolo. Il cane rimane a guardare frustrato la finestrella, troppo alta per lui, poi decide che non vale la pena insistere e ritorna alla sua cuccia, nella stanza accanto. La stanza ripiomba nel silenzio”.

Nel buio del cassetto, il topolino riprende fiato. Il suo mostro è stato sconfitto.

Per il momento si gode la sicurezza del suo rifugio. Tra un po’ smetterà di sentire male alle zampe e proverà a riguadagnare la sua libertà.

Forse a caro prezzo, forse no: dopotutto, ognuno ha il diritto e il dovere di provare a combattere i propri mostri.

L’immagine spettrale di piazza Fontana Grande a Viterbo ci ha dato l’ispirazione per raccontare la paura, da un punto di vista piccolo piccolo… quello di un topolino intraprendente e coraggioso.

La foto è di Stefano Lupieri Spolverini

Buon Halloween dal team di Raccontiamo Viterbo!

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.