Nella piazza gremita all’inverosimile, la Macchina di Santa Rosa splende di una luce bianco-dorata, elegante nei suoi delicati chiaroscuri. In cima alla salita emerge la facciata del Santuario, la famosa “casa” dove Rosa sta per essere finalmente riportata.

Tutto è pronto. Un fremito percorre la folla, e il brusio si abbassa fino a scomparire. Risuona, possente, la voce del capofacchino, a pronunciare le frasi fisse di un copione conosciuto e amato. Una rappresentazione quasi teatrale di prestanza fisica e di professione di fede, messa in atto da decenni.

“𝗣𝗿𝗶𝗺𝗮 𝗳𝗶𝗹𝗮 𝘀𝗽𝗮𝗹𝗹𝗲𝘁𝘁𝗲 … 𝘀𝗼𝘁𝘁𝗼!”

La fila di facchini chiamata scatta prontamente, posizionandosi sotto la grande torre luminosa. Ogni ruolo viene chiamato, in ordine: le stanghette sui lati corti, le spallette sui lati lunghi, che porteranno la trave di legno su una spalla; i ciuffi, i facchini che si trovano al centro della formazione, che porteranno il peso sulla sommità delle spalle. È faticoso, quest’ultimo tratto: i ragazzi sono stanchi dopo aver percorso quasi due chilometri, spesso in tratti stretti e difficoltosi. Ad aiutarli, sulla salita, ci saranno facchini che tireranno le corde e facchini che sosterranno le leve posteriori, a bilanciare la pendenza.

“𝗖𝗶𝘂𝗳𝗳𝗶 𝗱𝗶 𝘀𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮… 𝗔𝗰𝗰𝗮𝗽𝗲𝘇𝘇𝗮𝘁𝗲 𝗶𝗹 𝗰𝗶𝘂𝗳𝗳𝗼!”.

Con un movimento coordinato e scenografico, ruotando entrambe le mani, i ciuffi si posizionano sulla testa il copricapo in pelle che proteggerà la loro nuca dal ruvido contatto con il trave di legno. Tutti i facchini sono fermi al loro posto, con l’adrenalina che scorre nelle vene e nei muscoli. Il capofacchino si china verso di loro e chiede

“𝗙𝗮𝗰𝗰𝗵𝗶𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝘀𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮… 𝗦𝗲𝗺𝗼 𝘁𝘂𝘁𝘁𝗶 𝗱𝗲’𝗻 𝘀𝗲𝗻𝘁𝗶𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼????!!”

Il sì urlato dai facchini in risposta è un tutt’uno con il sì della folla accalcata. Sì, siamo tutti dello stesso sentimento.

“𝗙𝗮𝗰𝗰𝗵𝗶𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝘀𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮… 𝗦𝗼𝘁𝘁𝗼 𝗰𝗼𝗹 𝗰𝗶𝘂𝗳𝗳𝗼 𝗲 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗶 !!! …. 𝗙𝗲𝗲𝗲𝗲𝗿𝗺𝗶….”

La tensione cresce palpabile. I facchini sono a ginocchia flesse, pronte a scattare. I muscoli vibrano, le mani sudano, i denti si stringono. La folla trattiene il respiro, ferma anch’essa in questi secondi interminabili.

“𝗙𝗮𝗰𝗰𝗵𝗶𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮… 𝗦𝗼𝗹𝗹𝗲𝘃𝗮𝘁𝗲 𝗲 𝗳𝗲𝗿𝗺𝗶!!!!”

La grande torre luminosa ha un sussulto, un fremito, e si solleva improvvisamente verso il cielo. Esplode un boato liberatorio di gioia.

“𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮… 𝗔𝘃𝗮𝗻𝘁𝗶!!!!”

La Macchina si incammina, leggermente oscillante, spinta dal suo motore umano, e comincia la salita. La pendenza la fa leggermente sbilanciare all’indietro. La statua della Santa oltrepassa ondeggiante in altezza i tetti dei palazzi circostanti. All’improvviso scatta in avanti: i Facchini compiono a passo di corsa l’ultimo tratto. La gente ai lati li incita applaudendo. La fatica e la tensione si imprimono sui loro volti, mentre danno fondo alle loro ultime risorse di energia e di adrenalina e arrivano finalmente nella piazza antistante il Santuario, dove riescono ad eseguire l’ultima, faticosa manovra: la girata, la rotazione della Macchina, fino a posizionarla finalmente sui cavalletti.

“𝗖𝗮𝗹𝗮 𝗽𝗶𝗮𝗻𝗼… 𝗽𝗶𝗮𝗻𝗼, 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗶! 𝗟𝗮 𝗽𝗼𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼, 𝗹𝗮 𝗽𝗼𝘀𝗶𝗮𝗺𝗼… 𝗙𝗲𝗲𝗲𝗿𝗺𝗶 … 𝗽𝗶𝗮𝗻𝗼 … 𝗥𝗲𝘀𝗽𝗶𝗿𝗮𝘁𝗲, 𝗿𝗮𝗴𝗮𝘇𝘇𝗶…”.

Il capofacchino abbandona i toni quasi militareschi con cui ha impartito direttive e raccomandazioni per tutto il trasporto, la voce si abbassa. Respirate, riprendete fiato, ragazzi. Siete stati dei leoni, anche quest’anno.

Un’altra pausa che sembra non dover finire mai. La voce del capofacchino si leva, di nuovo, potente, per l’ultima volta. Il grido di “𝗘𝘃𝘃𝗶𝘃𝗮 𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮” risuona tre volte nella piazza e riecheggia nelle vie e nei vicoli bui della città.

“𝗦𝗮𝗻𝘁𝗮 𝗥𝗼𝘀𝗮 …. 𝗙𝘂𝗼𝗿𝗶!”

L’antico rituale, vecchio di secoli, forte delle sue consuetudini, ha prodotto di nuovo il miracolo. Quello che sembra impossibile si riproduce, ogni anno, la sera del 3 settembre: poco più di un centinaio di uomini trasporta sulle spalle una torre luminosa alta quanto un palazzo di dieci piani e pesante cinque tonnellate, attraverso le vie della città, in un percorso quasi mai agevole.

Questo miracolo non avverrebbe se non fosse forte in questi ragazzi l’amore per la santa bambina vissuta tanto tempo fa. Se non ci fossero tra di loro solidarietà, collaborazione, spirito di sacrificio, orgoglio di appartenenza ad una comunità. Se questa comunità non li appoggiasse, non li sostenesse come fa, con grida di incoraggiamento, applausi, incitamenti, commozione: è la gente di Viterbo, tutta de’n sentimento, la forza di propulsione dei Facchini. È l’energia mentale dell’intera città a concentrarsi nei muscoli e nelle spalle dei Facchini, per realizzare quello che è il vero miracolo di questa serata: la città diventa una e una sola, dimenticando divisioni, polemiche, screzi quotidiani.

È questo ciò che distingue il Trasporto della Macchina di Santa Rosa di Viterbo, Patrimonio Unesco, da altre manifestazioni a cui viene spesso paragonata, dove quartieri lottano contro altri quartieri della stessa città. Qui non ci sono dispute, qui non ci sono perdenti: al traguardo del Santuario è Viterbo, insieme a Rosa e ai suoi Facchini, l’unica vincitrice.

la foto è di Lietta Granato

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.