Per il secondo appuntamento di “Andar lento: raccontando Viterbo tra storia, aneddoti e giardini” ci troviamo oggi all’Orto del Belvedere. Un’oasi protetta di pace e di verde all’estremo margine del centro storico di Viterbo. È un luogo particolare, in cui il tempo sembra essersi fermato, e in cui avviene una fusione mirabile tra storia, natura e poesia. Siete pronti ad accompagnarci in questa nuova avventura? Allora andiamo.

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In letteratura si incontra spesso il tema del locus amoenus,  un luogo immerso tra piante ed alberi, in cui risuona il canto degli uccelli e il gorgogliare dell’acqua. Un luogo dove trovarsi in un perfetto mondo di Natura, lontano dalle tensioni del mondo urbano. Del locus amoenus parla Omero, Virgilio nelle sue Bucoliche, Petrarca nelle sue canzoni, e soprattutto Boccaccio, quando ambienta il suo Decameron in una villa in campagna, lontana dalla peste che sta imperversando in città. La tenuta che andiamo a visitare possiede tutti i requisiti del locus amoenus. Qui si può dimenticare le tensioni della vita cittadina ed immergersi nella pace e nella serenità che soltanto il contatto con la natura può regalare.

Ci troviamo nella zona sud ovest di Viterbo, e quelle che vedete di fronte sono le mura dell’antica cinta urbana, i cui primi tratti furono edificati intorno all’anno 1200. Le mura che state vedendo quindi hanno ottocento anni, e costituiscono uno dei pochi casi in cui ci sia assenza di aggiunte posteriori.  La torre che vedete di fronte è quella di Porta Bove, così chiamata dal nome del podestà allora in carica. In alto a destra vedete un’epigrafe in latino attesta un restauro avvenuto nel 1255. La torre è aperta per tutta la sua altezza. Sulla parete potete ancora vedere le sedi degli argani che sollevavano il ponte levatoio e le aperture dove erano posizionati i gradini che arrivavano in cima. Anticamente esisteva un camminamento in castagno ancorato con puntoni che poggiavano in questi alloggiamenti.

Questo luogo è denso di storia e di avvenimenti. La parte della città che andava da Porta Bove a Porta di Valle non era ancora difesa dalla cinta muraria, e le uniche difese erano rappresentate dalle carbonaie e da un semplice steccato. Questa antica curtes medievale venne affidata ai monaci benedettini di Sassovivo insieme alla chiesa di Santa Maria della Ginestra, che è l’odierno Lazzaretto. Poi è passata di mano, ed è stata posseduta anche dai potenti Maidalchini, imparentati con il papa Innocenzo X.

Ma la storia di questo luogo ha radici ancora più lontane. In ogni epoca si è cercato di edificare i fabbricati su balze rialzate, per motivi difensivi e anche per godere del soleggiamento e del panorama. Dovete sapere che nel Settecento, durante i lavori per il rinnovo della vigna, vennero ritrovati i resti di una magnifica villa romana, e in particolare dei bellissimi mosaici raffiguranti dei grifoni, che erano l’emblema del potere temporale e religioso. Segno che il proprietario di quella villa doveva essere stato un personaggio molto importante. E addirittura, frate Annio da Viterbo ipotizzò che questo potesse essere il luogo del Fanum Voltumnae, cioè il santuario federale etrusco. Ma già alla metà del Settecento i resti di questa antichissima abitazione erano ormai dispersi.

Intorno a noi, alberi da frutta, vigneti, olivi centenari, l’orto. Il proprietario, innamorato di questo luogo, ha voluto preservare l’atmosfera agreste, evitando di suddividere gli spazi con recinti e preferendo lasciare un aspetto il più possibile naturale. Pensate a quanto fosse importante l’agricoltura nei secoli bui degli assedi, quando avere all’interno delle cinte murarie degli spazi su cui poter fare affidamento per l’approvvigionamento di generi alimentari era un punto di forza rispetto agli assedianti.

Quella che vedete è la Torre di Santa Maria della Ginestra. Questa invece è un’antica piccionaia, e voi sapete che nell’antichità, i piccioni viaggiatori rivestivano molta importanza nelle comunicazioni. Nel 1243 l’imperatore Federico II venne a Viterbo e la pose in assedio. Nella piana sottostante vennero posizionate delle catapulte dalle quali venivano lanciate le pietre infuocate verso gli assedianti. Ma i viterbesi avevano anche un’altra carta da giocarsi. Venite con noi, vi mostriamo in che modo.

Rivediamo la luce, che si sta tingendo con i colori dorati del tramonto. Ci troviamo ancora nel giardino orto, dove al riparo di pareti sapientemente ricreate con pietre antiche, trovano rifugio specie mediterranee come questa cascata di rosmarino, questo arbusto che profuma di limone che si chiama citronella, ortensie ed acanti. Ma ancora la storia torna a farci udire il suo richiamo. Qui sotto infatti ritroviamo antiche cave di pozzolana, che furono anticamente adibite o a sepolture o a luoghi di culto etruschi, oppure ancora antecedenti. Ne sono prova queste nicchie scavate nelle pareti che dovevano ospitare fiaccole votive.

Torniamo al belvedere, uno dei punti di forza di questa antica tenuta. Di fronte a noi si staglia lo skyline della città: il Palazzo Papale, il palazzo dei Priori con il cortile e i giardini, la torre dell’orologio, la Palanzana. La riqualificazione recente di valle Faul ha previsto l’inserimento di spazi verdi, a sottolineare l’importanza non soltanto ambientale, ma anche per così dire, spirituale della natura inserita nel contesto urbano. Questi orti urbani sono microcosmi delicati e importantissimi, da preservare e da curare il più possibile. Sono scrigni di cultura, dove poesia, natura e storia si fondono in armonia. Fu Leonardo da Vinci ad affermare che vagando in campagna, cercava le risposte alle cose che non capiva. E aggiungiamo noi, in luoghi come questo le risposte si possono trovare.

Arrivederci al prossimo appuntamento con Andar Lento

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.