“La morte non è niente.
Sono solamente passato dall’altra parte”

Così incomincia una famosa poesia di Henry Scott Holland. Siete tra quelli che pensano sia vero che i nostri amici e parenti defunti siano soltanto in un’altra stanza, in un mondo parallelo e a noi invisibile? Oppure vi sentite laici e disincantati, e ritenete che la nostra esperienza di viventi si interrompa definitivamente con la nostra dipartita? Che siate fiduciosi, oppure materialisti, non potete restare indifferenti di fronte alla bellezza malinconica e silenziosa del Cimitero Monumentale di Viterbo. Oggi è il due novembre, e molti di noi si recheranno a far visita alle tombe dei propri cari. Proviamo a visitare questo monumento viterbese con il rispetto dovuto, ma senza quei pesi sul cuore che sono le paure e i preconcetti, e lasciamoci trasportare dall’incanto e dall’arte.

Camminando tra i viali di cipressi, e guardando le migliaia di foto sulle lapidi, non si può fare a meno di pensare che anche questa è una città, che a dispetto del suo nome vive, si allarga e si modifica con il fluire delle generazioni. Specchio della città vivente, memoria storica e artistica del passato.

Il Cimitero Monumentale fu progettato dall’architetto Renzo Vespignani all’indomani del 1870, anno dell’annessione di Viterbo al Regno d’Italia. Fu allora che le prime lapidi trovarono posto lungo quelli che oggi sono i muri interni. L’originale progetto del Vespignani fu poi variato, ampliato e parzialmente disatteso. Di ciò che egli immaginava rimangono i porticati ai lati del cancello principale e la chiesa di san Lazzaro, con le sue eleganti colonne in peperino e il disegno neoclassico. Sapete che al suo interno si possono ammirare bellissimi e pregevoli affreschi? Li realizzò il pittore Pietro Vanni, artista viterbese che meriterebbe di essere maggiormente valorizzato e studiato. E gli affreschi stanno accusando i danni di una inesorabile umidità.

E che dire delle sontuose e magnifiche cappelle gentilizie delle famiglie aristocratiche di fine Ottocento? La cappella Vanni-Calabresi, la tomba Polidori, la tomba Grispigni, e quella della famiglia De Parri, con un angelo realizzato dallo scultore Giulio Monteverde, considerato un modello insuperato nell’arte funeraria: alcune sue copie si possono ammirare al Verano di Roma, al cimitero monumentale di Milano e al Nordwood Cemetery di Londra. Tanta profusione artistica rappresentava a quel tempo una celebrazione dell’elevata posizione sociale di queste famiglie.

Intorno, la miriade di lapidi e di tombe in marmo e in peperino di viterbesi in abiti ottocenteschi, di militari caduti nelle due guerre, di madri e spose fedeli, di mariti e padri esemplari. Quante storie raccontate in poche righe cancellate dal tempo e dalle intemperie: storie piccole che tutte insieme, indistintamente, formano la Storia grande. Quante esistenze, quanti passaggi sulla terra, quanti insegnamenti da trarre. E ancora arte, rappresentata da statue, capitelli, decori, oggi ricoperti di edera e muschio.
Tanta silenziosa bellezza meriterebbe, come altre a Viterbo, una cura e una tutela migliori: non pensate? Sarebbe una forma di rispetto per chi “è passato dall’altra parte”, ma soprattutto per chi, come noi, non vorrebbe vedere sporcizia, incuria, degrado e abbandono in un luogo tanto importante per la nostra storia e per la nostra cultura.

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.