“Là pe’ Piascarano so tutte mammalucche/ so’ state spaventate da n’certo Trucche Trucche/ Sapete c’adè successo a Valle Cupa/ adè scappato Trucche Trucche dalla buca.”

La notte si è distesa su Pianoscarano come una coperta di lana consunta. Dalle sue maglie troppo larghe filtrano gli aloni giallastri dei lampioni, che non riescono a spazzare via tutta l’ombra dai vicoli. Dorme il ponte di Paradosso, dormono i gatti sulle scalinate. Riposano le antiche mura e i loro abitanti.
Ad un tratto il silenzio è rotto da uno strano rumore ritmico, come di metallo che batte sui sampietrini. Marietto si sveglia di soprassalto: “Nonno, chi è che fa questo chiasso per strada?”. E fa per affacciarsi a vedere. Il nonno lo trattiene e lo riconduce sotto le coperte.“E’ Trucche Trucche. Torna a dormire”. Marietto obbedisce e chiude gli occhi, ma ha il cuore stretto per la paura. Ripensa alla risposta sgarbata che ha dato alla mamma, quando gli ha chiesto di andare a prendere l’acqua alla fontana. Non si è comportato bene, e ora teme che Trucche Trucche sia in strada per lui e che venga a portarlo via. Gli amichetti glielo hanno descritto come un gigante vestito di nero, che rapisce i bambini cattivi, con scarpe di ferro come enormi ferri da stiro, che fanno quello strano rumore sull’acciottolato. “Ti prego ti prego ti prego”, mormora allora Marietto, “prometto che da oggi sarò un bravo figlio. Obbedirò alla mamma, al nonno, e non litigherò più con mia sorella. Ma tu, Trucche Trucche, vattene e non tornare più”.

Chi era Trucche Trucche? E perché i bambini del quartiere ne avevano tanta paura? Nella Pianoscarano della prima metà del Novecento si credeva che nei vicoli e intorno al ponte di Paradosso di notte aleggiasse un misterioso spettro. Un gigante con calzature metalliche che producevano un caratteristico rumore, da fargli meritare quel buffo nomignolo. Che fosse altissimo lo si deduceva dal fatto che di notte si divertiva a rubare panni stesi, pentole e stoviglie messe ad asciugare sui davanzali. I nonni utilizzavano lo spauracchio di Trucche Trucche per tenere a bada i loro nipotini più vivaci. I ragazzini degli altri quartieri prendevano in giro i giovani piascaranesi creduloni intonando quella filastrocca canzonatoria. Il convincimento nella popolazione era tale che nel ventennio fascista venne istituita addirittura una ronda, per tranquillizzare gli abitanti e dimostrare che le loro paure erano infondate. E per giunta, fu fatto espresso divieto di parlare in pubblico di Trucche Trucche, per non alimentare oltre modo la superstizione popolare.

Che fosse un demone maligno o uno spiritello burlone, la leggenda di Trucche Trucche aveva, come sempre, un’origine nella realtà. Il ponte di Paradosso era stato, nel Medioevo, punto di confine e di scontro fra il fiero quartiere di Pianoscarano e la nascente potenza della città di Viterbo. Molti duelli si erano combattuti su di esso, e molti soldati e cavalieri vi avevano trovato la morte. Secondo un’ipotesi, il fantasma sarebbe appartenuto proprio a uno dei cavalieri uccisi durante quei sanguinosi scontri, un cavaliere con stivali di metallo, il cui corpo si troverebbe ancora oggi nascosto sotto il ponte. Inoltre l’area sottostante, quella che oggi è un lussureggiante giardino, durante le numerose pestilenze che afflissero Viterbo, era adibita a fossa comune… Ce n’è abbastanza per alimentare la leggenda di un fantasma!

Che poi, forse, la realtà fu un’altra, quella che racconta ancora qualche anziano del posto. Trucche Trucche era il soprannome dato a un uomo nato deforme, scacciato ovunque andasse, soprattutto se si avvicinava ai bambini per avere un po’ di compagnia. Così il poveretto non poteva far altro che rintanarsi di giorno sotto il ponte per uscire soltanto con il favore delle tenebre. E per vendicarsi, si intrufolava nottetempo nelle case del quartiere per giocare brutti scherzi a quanti lo avevano scacciato durante il giorno.

Quando sentiamo parlare di fantasmi e di spiriti maligni, specialmente in questo periodo dell’anno, preferiamo rifugiarci nella ben più rassicurante realtà. Ma che succede se la realtà, come in questo caso, ci appare ben più amara e triste delle leggende?

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.