Una provincia immobile, sospesa eternamente tra voglia di riscatto e inerzia dolce e pensosa. E una città antichissima, popolana e aristocratica allo stesso tempo: le campane delle tante chiese, e gli alberghi demodé di antica gloria; fontane di popolo, e Gran Caffè dorati di stucchi. Era la Viterbo degli anni Cinquanta e Sessanta; era la Viterbo che folgorò Federico Fellini in modo intimo e inaspettato.
Vi ritrovava intatto il mondo della sua giovinezza; vi rivedeva Roma, che lo aveva accolto nemmeno ventenne; una Roma che però era presto scomparsa, inghiottita dal traffico e dal cemento delle borgate. Fellini rivedeva in Viterbo l’anima più profonda e autentica dell’Italia, quella che stava cercando come fondale per i suoi film. “Cosa si può desiderare di più da una città, che altro motivo si deve avere per amarla profondamente?”, disse di Viterbo il grande regista – di cui ricorre in questi giorni il centenario della nascita – in un’intervista rilasciata nel 1959.

Fu per questo suo coinvolgimento personale ed emotivo, più che per motivazioni logistiche, che Fellini scelse Viterbo e la Tuscia, e le eternò in numerose sue pellicole. Capranica, Castel Sant’Elia, Bassano Romano, Bagnoregio furono scelti dal Maestro Fellini per ambientare sequenze delle sue magiche storie. Era il 1953 quando Fellini girò a Viterbo “I vitelloni”, con Alberto Sordi, film premiato al Festival di Venezia. Protagonisti quattro trentenni che vivono in una piccola città, nell’eterna attesa di diventare adulti.

Forse non è azzardato pensare che Viterbo e la Tuscia abbiano contribuito, con le loro strade e le loro piazze, a rendere i suoi film vere pietre miliari del cinema italiano e mondiale. E il Maestro ci ha restituito il favore, regalandoci fotogrammi sgranati e in bianco e nero che sono immagini preziose, un album dei ricordi che sfogliamo con nostalgia. Le ombre di Piazza delle Erbe in notturna. Un Carnevale povero e comunque allegro che invade rumorosamente via Saffi. E una piazza della Rocca enorme e vuota, come un contenitore che attendeva di essere riempito di futuro.
Anche Viterbo, come i “vitelloni” del film, è nell’eterna attesa di diventare adulta.

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.