Se giungi a Viterbo, dopo aver varcato Porta Romana o porta Fiorentina, e incontri un passante autoctono chiedigli pure – Di che epoca è Viterbo? Subito gonfiando il petto d’orgoglio patrio dirà – Etrusca!
Se poi gli chiedi – Che epoca ha lasciato più il segno nell’ornato urbano?
Dopo averci pensato pochi secondi dirà – Il Medioevo!

Tutto giusto. Oggi però vi voglio prendere per mano e farvi attraversare un varco temporale, per immergerci nel ‘400 viterbese. Un’epoca caratterizzata da luci sfavillanti e da ombre funeree, da bagliori aurei e da fumo acre di morte.
Siamo nel 1398, Rettore della città è tal Giovannello Tomacelli, nipote di papa Bonifacio IX, un uomo tutto d’un pezzo, grande restauratore dell’assolutismo pontificio e la città è retta da quattro priori, fino a poco tempo fa erano otto, eletti solo, manco a farlo apposta, dalle schiere di parte guelfa. Le corporazioni cittadine, che fino ad oggi hanno portato lustro alla città, si vedono defraudate del loro carisma, non riescono più ad imporre le proprie idee all’amministrazione (Historia Magistra Vitae).

Una gran tensione si percepisce tra le vie cittadine: la famiglia Gatti e tutta la sua schiera è sempre pronta a sguainar la spada contro la famiglia Tignosi di parte Ghibellina. Baruffe e accoltellamenti, quando va bene, sono all’ordine del giorno.

Lo storico Niccolò della Tuccia scrisse “…e pensate che la guerra disfà le case, città e castelli, e la pace fa multipplicare onori, robe, grandizie e magnificenze”. Il problema di Viterbo in questo primo affaccio di secolo, è proprio quello della poca stabilità politica. I palazzi vengono pian piano lasciati al degrado, le strade malsicure sono anche poco curate, il palazzo dei Priori, il Palazzo del Podestà e quello della famiglia Gatti, minacciano rovina. Se si sale su verso San Lorenzo la situazione non è migliore.

Intorno al 1470, Viterbo pare avere un sussulto, il colpo di reni porta la città del Patrimonium a raddrizzarsi, eccola che si rialza fiera e maestosa.
Se ti affacci dalle mura puoi vedere qualche carro pieno di mobilio, e un uomo a cassetta e qualche donna portare per mano smunti pargoli, tornano a Viterbo, hanno lasciato le campagne e tornano dentro le mura accoglienti. Arrivano in città anche molti artigiani, la città torna ad attrarre maestranze da varie regioni italiane, soprattutto toscane. Uno strano fervore anima le piazze, uomini ben vestiti guardano il luogo più idoneo per far costruire il loro palazzo, sono gli Albizzi, i Cavalcanti, i Gerardi, i Ristori i Gaddi, i Ghigi e i Caetani.

I loro palazzi devono essere magnifici, devono far vedere in modo tangibile la ricchezza e l’opulenza, allora non solo le decorazioni pittoriche parietali si fanno lussuose, ma anche i pavimenti, i portoni e i soffitti. Viterbo ora è pronta ad affrontare nuovamente il suo cammino, vestita di stucchi e di lussuosi decori.

Anonimo

Scritto da:

Nadia Proietti

Salve, il mio professore di storia ripeteva sempre che lo storico studia i documenti, senza interpretare
e senza romanzare, ecco come mi comporto io: prendo i fatti storici, spesso dai documenti, aggiungo
dei personaggi, una storia verosimile e voilà ecco come nasce ogni mio racconto.
Chi sono? Mi chiamo Nadia sono laureata con lode in Filologia Moderna, ho all'attivo un Master in materie letterarie, un Corso di Alta Formazione in Storytelling, docente di lettere precario. Oltre ai titoli sono madre di due figli, appassionata di storia moderna in particolare in storia dell'Europa
dell'Est, pessima casalinga, ma buona padrona di casa.