Maggio 1876
Il paesaggio scorreva lento agli occhi del generale, l’andatura del treno sembrava cullare i suoi pensieri. Il sole era alto nel cielo, ma lui era già molto stanco; quella notte aveva dormito poco, forse perché rivedere in sogno la sua amata Anita turbava sempre un po’ il suo animo.

Il dormiveglia del grande condottiero venne bruscamente interrotto da una voce che annunciava l’arrivo alla stazione di Orte: era ora di scendere. Ad aspettarlo sul piazzale della stazione trovò una vettura nera molto elegante, a lui riservata; il suo autista avrebbe aperto il corteo di auto diretto nel capoluogo della Tuscia, già trepidante di attesa per la venuta dell’uomo che quindici anni prima aveva fatto l’Italia.

La gente si riversava in strada, le folle accorrevano esultanti; i bambini tiravano i nonni, che per l’euforia del momento dimenticavano la paura di cadere.
Quel giorno Viterbo era in festa.

Garibaldi guardava quel tripudio di gioia dalla sua vettura.
Una volta che il corteo fu arrivato a piazza del Plebiscito, all’improvviso egli fermò tutto e decise di scendere; i viterbesi erano attoniti ed estasiati, i loro occhi increduli e adoranti.
Gli stivali del generale si muovevano veloci verso il “Negozio di generi diversi” e, una volta entrato, chiese al proprietario se poteva dargli due sigari. Il signor Giuseppe, onorato di avere lo stesso nome di quell’insolito cliente, glieli porse con mano tremante dicendo: “Offre la ditta!”, ma Garibaldi, senza pensarci un secondo di più, gli rispose: “Non ci pensi nemmeno! Anzi, mi faccia la fattura e tenga pure il resto!”. Il signor Giuseppe scrisse velocemente con calligrafia incerta e salutò calorosamente il suo omonimo, che a grandi falcate risalì sulla vettura.

Il corteo riprese alla volta del “Caffè Ristoratore Vincenzo e Fratello Schenardi”, presso il quale si sarebbe svolto uno dei più grandi banchetti mai offerti dalla città di Viterbo.
Alla famiglia del generale vennero somministrati zuppa, manzo, pollo, frittura, frutti vari, limoni, vini bianchi, gelati e moltissime altre specialità locali, per un totale di 140,15 lire; i giornalisti al seguito invece mangiarono brodo, maccheroni, pollo e asparagi, per la più modica cifra di 29,27 lire.
Fu un bellissimo banchetto e una grandissima festa (ricordata ancora oggi) a cui i viterbesi parteciparono fino a sera inoltrata. Quella notte il generale Garibaldi dormì della grossa.

Il presente racconto è liberamente tratto da documenti storici conservati presso l’Archivio di Stato di Viterbo; non saprei dire se al momento è possibile consultarli o addirittura diffonderli poiché io sono riuscita a leggerli soltanto grazie ad alcune fotocopie che mio nonno conservava nel suo studio. La storia ovviamente è stata romanzata, ma i dettagli indicati (piatti serviti e costo, nome del negozio e del proprietario, stazione di arrivo e vetture) sono reali.

Anonimo

Scritto da:

Carolina Trenta

Un po' romantica un po' nerd, appassionata lettrice e cultrice di storie, raramente a mio agio nella folla; amo il mare fuori stagione, il legno del violino, l'aroma del cappuccino, le matite che scorrono sulla carta, i cuscinetti sotto le zampe dei gatti. Quando tanti pensieri si accavallano nella mia mente li metto nero su bianco e ogni tanto ne esce fuori qualcosa di buono, ma senza troppe pretese.
Mi sono laureata in Filologia Moderna presso l'Università degli Studi della Tuscia e per il mio futuro spero di lavorare in una di quelle biblioteche giganti che si vedono nei film :)