Ieri sono stata a pranzo dalla nonna.
Dopo la decima portata, a panza piena e fiato corto, sono andata in quella che era la camera di mia mamma e di mia zia e che – per anni – è stata quella nella quale facevo il pisolino dopo pranzo, un obbligo imposto dall’autorità nonnesca.
A me dormire non piaceva proprio, anzi era una tortura fingermi morta dalle 14 alle 16 ma fortunatamente avevo un complice con il quale evadere la rigida disciplina imposta a sorrisi e cucchiara: il nonno Alfredo. (Ho scoperto il suo vero nome di battesimo da grandicella, per me lui era nonno Pepo).

Comunque, riprendiamo sul vialone dei ricordi: la passione più grande del nonno Pepo era scrivere canzoni; lo faceva estemporaneamente, come lo folgorava l’ispirazione: teneva sempre qualche ritaglio di foglio nelle tasche che riempiva di frasi e parole durante la giornata e che poi insieme, nel nostro carcere pomeridiano, assemblavamo sulle pagine di un librone per cercare di dargli un senso compiuto. Scrisse così almeno una cinquantina di brani, tutti amorevolmente stipati nei cassetti della mia memoria.

Mi sono però dimenticata di aggiungere un elemento importante in questa narrazione: il nonno non sapeva scrivere; o meglio, sapeva farlo ma in un modo tutto suo. Era nato nel 1934… figurarsi se la priorità era imparare a leggere o scrivere; “studiare” era ancora attività d’élite.
Imparammo insieme: io piccola seienne, lui più di dieci volte tanto, ma con le stesse difficoltà: le doppie dove vanno? Sono doppie perché sempre due oppure quando un suono è molto marcato ne possiamo mettere tre o anche quattro? Esiste davvero tanta differenza tra “fato” e “fatto”? La punteggiatura non è poi un inutile orpello? Noi nella testa conoscevamo pause e ritmi. Le parole perché staccarle? Quando parliamo non è tutto un flusso? Un fiume lo spezzereste in segmenti?
Insomma gli interrogativi era molti ma noi seguitavamo a scrivere… io crescevo, la scuola aiuta in questo, miglioravo grammatica e sintassi. Lui non molto, ma per me ciò era fonte di gioia: in terza elementare la sua grafia era per me cristallina ma per tutti gli altri no, la sapevamo leggere a colpo d’occhio solamente noi due. Era bello far parte di un circolo esclusivo.

Ieri sono stata a pranzo dalla nonna e finalmente dopo tanti anni – forse per l’overdose di carboidrati complessi – ho trovato la forza di rimettere le mani sulle “nostre” canzoni e sul nostro librone. Nel cassetto ho trovato molti libri: grammatica italiana, francese, inglese, latina e pure greca; antologie di brani filosofici, testi di matematica con gli esercizi da fare, raccolte di poesie italiana e straniera, una Divina Commedia tutta scarabocchiata dalla sua grafia, romanzi ormai dimenticati dai lettori odierni. Edizioni degli anni ’40 con le pagine ingiallite, la colla staccata, i fogli volanti.
Io studiavo a scuola: elementari, medie, liceo… lui a casa, da autodidatta, con un programma inventato fatto a casaccio. Un settantenne che voleva riappropriarsi della libertà di avere una cultura che gli era stata negata da una data di nascita sbagliata.

Nonno non c’era quando, dopo il diploma, scelsi che il mio percorso di studi non sarebbe finito. Mi iscrissi all’Unitus Disucom, il dipartimento di scienze umanistiche dell’Università degli Studi della Tuscia. Fu una scelta felice, cinque anni sono volati con soddisfazione sebbene siano esistiti anche i necessari sacrifici. L’ambiente, i colleghi, i professori ad ogni nuova lezione mi hanno fatto rivivere quella sensazione d’euforia di quando ero piccolina e scoprivo che tra “fato” e “fatto” c’è tutta la differenza del mondo. Mi piace pensare che il titolo di studi conseguito sia una conquista di entrambi.

Ho visto che il 19 settembre ci sarà l’openday a Santa Maria in Gradi. Vi invito ad andare a conoscere alcuni dei professori, girovagare per le aule ed i corridoi, interessarvi ai diversi percorsi di studio. Mettervi in gioco insomma (o rimettervi, perché no) con il variegato mondo delle nostre amatissime materie umanistiche. Lo studio ci rende liberi e, ovviamente sono di parte, studiare al Disucom lo fa ancora di più. 🙂

Oggi sono andata un pochino fuori tema dal focus della pagina ma poco male; Santa Maria in Gradi è un complesso architettonico storico della nostra città: edificato nel 1244 per essere un convento domenicano, poi carcere per un secolo ed infine sede universitaria. Ha molto da raccontare. Se vorrete lo faremo nelle prossime occasioni 🙂