Cicoria guardava il cielo grigio ferro dalla finestrella sporca della cella. Faceva freddo quella sera, ma Cicoria poteva solo immaginarlo. Era in gattabuia da un mese, e le cose non si mettevano per niente bene. Ma forse era meglio così. Basta con questa vita grama! basta con la fame nera! La fame che leva la ragione e la grazia di Dio, e che lascia al suo posto soltanto l’istinto di sopravvivere.

Cicoria conosceva i suoi peccati, ma sapeva in cuor suo di non essere cattivo. Un po’ sbruffone, un po’ scioperato, quello sì, ma non cattivo. Aveva sempre il timore di nostro Signore, e infatti, dopo aver rubato quelle otto galline e quel galletto, aveva sentito il bisogno di confessarsi. Ma la malasorte aveva voluto che il prete a cui si era rivolto fosse proprio il padrone delle galline. Che disgrazia! E quelle galline, che gli avrebbero dovuto assicurare qualche pasto caldo per l’inverno, lo stavano accompagnando direttamente al patibolo.

Per tutta risposta, il suo stomaco brontolò. Come se gli avesse letto nel pensiero, Camicia, il suo compagno di cella, cominciò a battere con il cucchiaio sulle sbarre della cella. “Secondino! Oggi non se magna??”. “Arriva”, gli rispose quello. “Stasera magna de gusto, Camì, che è l’ultima volta che lo fai”. E spinse il vassoietto nell’apertura della porta, con due piatti di fumanti maccheroni. “Che ce frega, Camì, magnamo. Domani è un altro giorno”, sentenziò Cicoria.

Il domani arrivò presto, ma Cicoria si sentiva sereno. Sul carro che lo trasportava, in catene, al patibolo di piazza della Rocca, vedeva la folla che cominciava ad accalcarsi per lo spettacolo. “Non correte, ové!” disse alla gente. “Prendetevela con comodo, tanto se non arrivo io la festa non comincia!”. Arrivato sul palco, guardò la piazza piena di gente, e più su il cielo, gonfio di nuvole nere. Si girò verso il boia incappucciato, e sbottò: “Ahò, sbrighete a tajamme la capoccia , se no pijamo pure l’acqua!”. Allontanò con un cenno il frate che voleva prepararlo alla morte: di confessioni ne aveva avute abbastanza. Il Signore se lo doveva prendere così com’era. Appoggiò la testa al ceppo di legno, e rimirando per l’ultima volta la piazza, sussurrò “Eccoci qua! ‘na fregna così non m’era mai capitata”.

Vincenzo, detto Cencio, Cicoria fu condannato alla pena capitale il 27 gennaio 1863, per aver rubato 8 galline e un galletto a tale don Pio Falcioni. L’incauto ladro era andato a confessarsi proprio da don Falcioni, che dimenticando la misericordia e l’abito talare che indossava, lo denunciò poi alle autorità pontificie. Dopo 33 giorni dal furto fu giustiziato. Il patibolo per le esecuzioni capitali era a quei tempi ubicato a piazza della Rocca. La frase pronunciata da Cicoria in punto di morte è rimasta famosa nella tradizione viterbese.

“Qᴜᴇsᴛᴀ ᴇ̀ ʟᴀ ᴠᴇʀɪᴛᴀ̀ sᴜʟ ᴘᴏᴠᴇʀᴇᴛᴛᴏ / ʟᴀsᴄɪᴀᴛᴀ ᴀɪ ᴘᴏsᴛᴇʀɪ ɪɴ ᴍᴇᴍᴏʀɪᴀ / ᴄʜᴇ ᴀʟʟ’ᴜʟᴛɪᴍᴏ ғɪᴀᴛᴏ ɪᴍᴍᴏʀᴛᴀʟᴏ̀ ‘ʟ sᴜ’ ᴅᴇᴛᴛᴏ / Eᴄᴄᴏᴄɪ ᴏ̨ᴜᴀ! Dɪssᴇ Cɪᴄᴏʀɪᴀ / Uɴ ᴀғғᴀʀᴇ ᴄᴏsı̀ ɴᴏɴ ᴍ’ᴇʀᴀ ᴄᴀᴘɪᴛᴀᴛᴏ ᴍᴀᴇ / ᴇ ᴄᴏsı̀ ғɪɴɪsᴄᴏɴᴏ ʟᴇ ᴍɪ ɢɪᴏʀɴᴇ ᴇ ʟᴇ ᴍɪ ɢᴜᴀᴇ!”

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.