Acqua: acqua piovana, acqua sorgiva, acqua preziosa. Acqua sacra. Centinaia di migliaia di anni fa si venerava la dea Acqua. E ogni luogo in cui sgorgasse acqua in abbondanza veniva considerato sacro dai nostri progenitori. Sacro ed energetico come il territorio in cui viviamo, così ricco di sorgenti, di acque correnti e sotterranee, di acque termali, cascate e zampilli.

Ora dirigiamoci con la fantasia a pochi chilometri da Viterbo, in direzione nord-est, percorrendo la bellissima strada Teverina. A poche centinaia di metri prima del bivio per Ferento, e proprio di fronte all’omonimo ristorante, svoltiamo a destra. Dopo aver parcheggiato, dobbiamo proseguire a piedi. Vedendo lo stato di abbandono del luogo, le erbacce e i cumuli di immondizia, ci chiederete: cosa ci siamo venuti a fare?

Siamo qui per parlare di un sito dimenticato, eppure eccezionale dal punto di vista ambientale, paesaggistico e archeologico. Siamo qui per raccontarvi cosa ha rappresentato per i popoli più antichi questo piccolo altopiano, che si trova alla confluenza di tre fossi: il Fornicchio, la Vezza, e l’Acquarossa che gli dà il nome. Qui l’acqua sorgiva prende colore e sapore di ferro; ovunque, la vegetazione erompe vigorosa e lussureggiante: muschi, felci e rampicanti crescono indisturbati, e il loro verde smeraldo spicca contrapposto al rosso arancio delle pareti di pietra e il fondale del torrente. C’è silenzio, interrotto solo dal suggestivo e rilassante gorgogliare delle cascatelle. Non facciamo fatica ad immaginare l’Acquarossa come luogo sacro.

Qui infatti sono stati ritrovati resti di capanne e frammenti di vasellame risalenti al Mille a.C. Qui il popolo etrusco fondò, alla metà del Settimo secolo a.C., un piccolo centro, con funzione sacra e civile. Gli antichi insediamenti furono scoperti grazie all’intuizione dell’archeologo viterbese Luigi Rossi Danielli, che agli inizi del Novecento rinvenì i resti sull’altopiano. Gli scavi proseguirono poi nel 1966, per un’altra decina di anni, ad opera di archeologi svedesi, tra i quali ricordiamo lo stesso re di Svezia Gustavo Adolfo, appassionato di storia e di archeologia. Le missioni svedesi non cercavano tanto le necropoli e i santuari, quanto gli insediamenti urbani e le tracce della vita quotidiana degli Etruschi. E qui le trovarono: resti di vere e proprie abitazioni etrusche, tegole di tetti in terracotta decorata, lastre in bassorilievo, frammenti di ceramica. L’ingente quantitativo di reperti ritrovati e le ricostruzioni realizzate sono visibili al Museo Archeologico di Rocca Albornoz di Viterbo, e riescono a fornirci un’immagine degli Etruschi diversa da quella un po’ cupa e ultraterrena che in genere abbiamo di loro.

E che dire dell’acqua? L’Acquarossa è una falda “ipotermale”, cioè un’acqua termale fredda (22°-24°), dal caratteristico sapore metallico, e frizzante per la presenza di forti quantitativi di acido carbonico. Essa sgorga dalle viscere di un territorio che all’alba dei tempi fu squassato da immani eruzioni vulcaniche, ed è portatrice di virtù curative.
Siamo assolutamente certi che un luogo simile, all’estero, sarebbe tenuto in altissima considerazione. Non pensate?

Ecco cosa siamo venuti a fare oggi, a pochi chilometri dalla nostra città insonnolita e inerte: siamo venuti a visitare, anche soltanto con la fantasia, un luogo dove arrivò perfino un re a scavare reperti preziosi, per donarli poi alla nostra comunità; un luogo in cui la natura è lussureggiante e selvaggia; un luogo in cui sgorga un’acqua particolarissima, che altrove viene sfruttata con successo a livello terapeutico.
Un luogo non altrettanto importante per noi che ci viviamo.

La foto è di Ludovico Ciprini

Anonimo

Scritto da:

Donatella Agostini

Imparare cose nuove è il mio filo conduttore, darmi sempre nuovi obiettivi la mia caratteristica fondamentale. Valorizzare la terra in cui vivo è il mio progetto attuale.